Questa “Ouverture” è dedicata alla famosa domanda “Chi è Caron?”. Senza pensare che questa diventi un’ossessione come la più famosa “Cos’è Matrix?”, credo che, in un certo senso, alcuni aspetti della “tristezza” che pervade i racconti di Caron non sia davvero comprensibile. Infatti la figura di questa cacciatrice di non-morti appare descritta spesso come fredda o disillusa o a volte addirittura cinica, ma non credo che si possa comprendere a fondo il suo “turbamento” senza sapere come è “nata” Caron. Essenzialmente il personaggio di Caron nasce dal fascino, oserei dire un poco “oscuro”, che hanno quelle figure estranee, anzi alienate, dal mondo. Intendo quei personaggi che di solito rappresentano quanto, in realtà, ognuno di noi viva una realtà soggettiva e come l’esperienza di ciascuno forgi poi la visione del mondo circostante; questo porta, in ultima analisi, al pensiero che ci siano interessanti aspetti nel narrare e nell’ascoltare la storia di qualcuno di completamente diverso da noi e magari inserito in un contesto completamente alieno alla sua esperienza. Esempi di questo concetto narrativo, sul lato comico/leggero, li potete trovare in film come “Crocrodile Dundee” o “Les Visiteurs”, dove il contatto con la società moderna causa gag ilari a proposito di questo stravagante mix. Ci sono però anche esempi nel campo drammatico; il primo che mi viene in mente è Rambo. Il concetto dietro al personaggio di Rambo è la famosa sindrome che colpisce i veterani di guerra: abituati a un mondo che funziona con regole completamente diverse da quelle del mondo civile, la vita perennemente appesa a un filo, i soldati di ritorno da lunghe e sanguinose guerre perdono il senso del vivere come lo
intendiamo noi. Penso anche a film come “Leon” dove il protagonista non concepisce la vita come noi: dorme “con un occhio aperto” e con la pistola in grembo, è abituato a controllare a ogni passo le finestre per accertarsi che non ci siano cecchini… O in “The Bourne Identity” dove il protagonista è condizionato per vivere perennemente all’erta: controllare le uscite da ogni locale in cui si entra, conoscere le possibili coperture per ripararsi durante una sparatoria… Cose, insomma, che nessuno di noi si sognerebbe mai di prendere in
considerazione mentre va a fare la spesa, ma che invece sono il pane quotidiano di chi vive con la vita appesa a un filo. Il concetto davvero drammatico dietro a questo non sono forse tanto le stranezze che sorgono da un simile atteggiamento, quanto il pensiero che esistono situazioni, o vite, in cui tutto ciò non solo è importante, ma essenziale. Che vita può essere, infatti, quella di un uomo che non vive altro che per uccidere o essere ucciso? Che mondo è quello di un soldato che deve davvero avere paura di ogni foglia dove posa il piede perché potrebbe esserci una mina? E, in ultima analisi, quale terribile tortura psicologica deve aver patito un uomo per diventare così “diverso”, così Alieno? Personaggi così sono personaggi terribilmente tristi, ma io li trovo anche tremendamente eroici perché, nonostante tutte queste terribili sciagure, hanno stretto i denti e sono riusciti ad andare avanti, spesso perdendo il comune senso della realtà, ma riuscendo a tenersi stretti il senso di giustizia e di etica… anzi a volte riuscendo ad afferrare anche meglio di molta gente “normale” quale sia il senso della vita o della morale… Come se fossero loro ad essere veramente vivi, come se fossimo noi quelli la cui vita è coperta di inutili fronzoli che ci impediscono di decidere chiaramente o di capire come le cose funzionino veramente. ...Il Funerale del Nome e il Funerale delle Parole. |
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