Premetto che qui sto violando uno dei principi fondamentali dello Zen, cioè quello di non spiegare mai il senso di una frase perché un pensiero va maturato e non ingurgitato, ma lo faccio con il solo fine di portarvi più vicini alla comprensione della meccanica del pensiero Zen (e che il karma mi perdoni per questa mia cocciutaggine).

Mi capitò di avere chiaro il fatto che gli occidentali non capissero lo Zen, per loro propria nebbia mentale anziché per vera assurdità del metodo, proprio ascoltando le parole del mio insegnante di cultura giapponese a scuola: egli è un uomo certo molto colto, ma non incline allo Zen, certo una buona rappresentazione del ben intenzionato pensatore occidentale. Egli volle concludere il nostro periodo di studio dello Zen proprio citando una brevissima storiella Zen per dimostrare con un esempio concreto il significato di assurdità nello Zen. La storiella, a parer mio certo uno dei koan più semplici e “occidentali” (cioè alla nostra portata), era più o meno così:

Quando un noto maestro Zen era prossimo alla sua morte, i suoi allievi gli fecero tutti visita per porgergli l’estremo saluto, ma anche sperando di poter ricevere delle ultime perle di saggezza e chiedergli se ora che si trovava al termine dei suoi giorni vedesse con chiarezza la soluzione al più grande quesito del genere umano ovvero che cosa è la vita. Il maestro, però, non diceva nulla lasciando i suoi allievi in grande apprensione. Infine, quando pareva che ormai non avrebbe lasciato ultime parole a questo mondo, tutti furono distratti da un fruscio tra le foglie degli alberi fuori della casa e si voltarono a guardare: era un piccolo scoiattolo che si era arrampicato su di un ramo e tranquillamente si lavava il muso. Al vedere ciò il maestro disse solo “E’ tutto questo e niente altro…” e ciò detto, lasciò sereno questo mondo.”

Conclusa questa storiella, il nostro insegnante ci guardò soddisfatto e ritenne di aver dato una corretta idea dell’assurdo Zen, avendoci sbalordito e spiazzato con una storiella che proprio non voleva dire niente e che invece era ritenuta saggezza dallo Zen; a dir il vero, proprio quando il professore stava mettendo giù il libro soddisfatto commentando “Visto? Questo è come lo Zen usa l’assurdità”, i due criceti che ho nel cervello avevano giusto finito di ponderare le sagge parole del maestro Zen e, prendendo il microfono, annunciarono per mia bocca il risultato del convegno. La breve analisi della storia mi aveva ispirato una serie di considerazioni ragguardevoli per la loro assennatezza piuttosto che per la loro assurdità: innanzi tutto lo scoiattolo e il fatto che stesse compiendo il suo normale ciclo di vita mi colpì per il contrasto che questa figura aveva con il resto della storia, cioè un folto gruppo di filosofi che tentano in un momento tragico (la morte del maestro) di risolvere una questione cosmica. Questo mi portò a pensare che forse anche il maestro aveva notato la stessa cosa e che questo gli avesse offerto un onesto termine di paragone con la “fame” che l’uomo ha di vivere, conoscere, accumulare e quanto altro. Forse in quel momento l’indifferenza del ciclo della natura a un momento così umanamente importante lo aveva ispirato a pensare quanto fosse inutile l’affanno che gli umani impongono a loro stessi: nonostante la sua morte, gli alberi sarebbero sempre continuati a crescere, il vento a soffiare e le onde a infrangersi sugli scogli e, ultimamente, gli scoiattoli avrebbero continuato la loro vita semplice e difficile allo stesso tempo. Forse pensando a questo, si chiese quante cose sciocche preoccupino l’uomo e quanti inutili obbiettivi egli si impone di perseguire, ricavando da essi solo inutile frustrazione e sottomissione psicologica. Egli, forse, capì che la vita in realtà non era altro che, nella sua forma più “naturale”, quella che lo scoiattolo aveva mostrato, quella dell’uomo che è parte di una natura plurimillenaria, che ci guarda dall’alto con assoluta tranquillità, da cui dovremmo trarre la nostra di serenità, imparando il vero valore delle cose dal raffronto con ciò che è più grande di noi, anziché ridurre tutto sul limitato piano di valori della nostra ancor più limitata esistenza fisica, se vogliamo davvero trovare davvero qualcosa di valore in questa vita. Un insegnamento profondo come il mare, eppure, così semplice: “E’ tutto questo e niente altro…” appunto.

Ad accogliere l’annuncio della cricetesca assemblea ci fu un po' di incertezza: come appuntavo all'inizio, un koan Zen spiegato non ha affatto la stessa forza di uno Ragionato... Infatti, nonostante avessi cercato di essere il più chiaro possibile nell'esposizione del ragionamento, il senso della metafora dello scoiattolo sembrava ancora sfuggire ai presenti, o così almeno mi parve, visto che non giunse nessun commento, nè di approvazione nè di dissenso. Ancor di più mi sembrava incerto il professore, che credo avesse proposto quel Koan proprio perchè lo riteneva massimamente insensato... Era un po' come se avessi trovato a colpo d’occhio la soluzione dell’equazione di Fermat. In quel momento capì perché gli occidentali considerano inconcludente lo Zen: semplicemente quando una cosa pare non avere senso decidono che non ce l’ha anziché mettersi a cercarlo e, in questo modo, le cose più difficili (che sono poi le più semplici) non trovano soluzione nella nostra società. Con questo esempio io non voglio dire che ho capito al volo una cosa difficile, voglio solo evidenziare come proprio l’incompletezza della storia mi abbia fatto riflettere, conducendomi a dei pensieri di vita, che siano poi relazionati con la storia del maestro Zen è ininfluente: la metafora dello scoiattolo ha fatto in modo che mi insegnassi qualcosa di importante. Che io abbia poi capito davvero quello che il maestro Zen voleva dire o meno non è il vero senso della mia “vittoria”, ma lo è il fatto che, di fronte a una apparente assurdità, io abbia tratto un insegnamento e che esso sia vero, che la storia dello scoiattolo portasse a questo o meno. Questo è il metodo di analisi Zen e gli occidentali lo ritengono completamente alieno alla loro mentalità non perché lo sia davvero, ma solo perché in questo modo non devono con esso confrontarsi. Gli occidentali, poi, si schermano a vicenda spargendo la convinzione che tali aforismi siano insolubili così da non doversi sentire inferiori nel non trovare in essi delle risposte che sarebbero ultimamente minacciose per il loro modo di vivere così stupido e insensato: se infatti uno di loro dovesse mai fermarsi a provare a sbrogliare una di quelle tanto complesse matasse, potrebbe addirittura scoprire di esserne in grado e che può scoprire anche da solo tutte le risposte di cui abbisogna per capire che cosa non funziona nella sua vita e nella sua società, quindi capire che è tutto frutto delle menzogne che si è raccontato e che gli hanno raccontato; da quel momento in poi non potrebbe più vivere nella sua dannosa e beata ignoranza perché saprebbe di esserne il solo responsabile e dovrebbe assumersi la responsabilità di costruire da sé la propria felicità anziché aspettarla da Dio o dagli altri e quin…. EHI! Aspetta un attimo! È quello che è successo a me!!! Oh Mio DIO!!!!