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“Signorina Ambel… Io di lei apprezzo molto la sincerità e la franchezza con cui esprime i suoi pensieri” A questa frase le mie orecchie devono aver fatto un qualche genere di scatto nervoso, mentre cerco di far loro percepire se il tono della Direttrice contiene anche solo la più piccola traccia di sarcasmo, ma, come al solito, il suo tono professionale è impenetrabile “…Devo anche dire che sono molto ammirata dell’impegno con il quale segue queste sue “indagini”, anche se sono costernata da quanto tempo esse le facciano perdere. Se infatti avesse posto lo stesso sforzo nel comprendere lo spirito del nostro Istituto, avrebbe potuto trarre vantaggi ben più cospicui dalla sua presenza in classe, andando ben oltre il contenuto delle singole affermazioni dei suoi insegnanti” Nel momento in cui la Direttrice finisce la sua frase, io mi accorgo che quella sensazione di leggero sollievo che avevo provato vedendola ritornare alla scrivania è del tutto svanita. Mi sento il volto contratto in una strana espressione; mi sento i muscoli del viso tesi, mentre cerco di non far assumere loro l’aspetto corrucciato di chi si sforza di risolvere un enigma impossibile.
Non ho capito nulla di quello che mi ha detto la Direttrice… No, non è vero. Non ho capito il significato specifico di ciò che ha detto, non ne ho afferrato il contenuto, ma la forma… la Forma mi è più che chiara… Come sempre la forma delle sue parole è perfetta, ma questa volta è ancora più elegante: la sua frase ha contorni sinuosi e delicati e il tono con cui l’ha cadenzata mi ha fatto sapere con estrema chiarezza che essa è il ponte che deve condurre a un Verità con la V maiuscola, a una delle chiavi di volta di questo Istituto… E io non ho la minima idea di quale sia… E ciò è male.
Me lo dice lo sguardo della Direttrice, che infine si è fatto furbo e compiaciuto, completato dal sorriso che ora non è più quello di cortesia che di solito sfoggia, ma accenna invece a una malcelata soddisfazione nel vedermi infine costretta all’angolo senza più parole da spendere in mia difesa. Dopo aver giocato con me con tante parole, mi ha voluto dimostrare come la cortesia nel dialogo non sia un riparo dietro al quale una “alunna indisciplinata” possa nascondersi solo grazie a un poco di eloquenza. Ha voluto che sapessi che, anche se le sue parole sono come nastri di raso, non per questo non può usarli per legarmi alle mie responsabilità.
E questo la fa sorridere.
E questo mi fa decisamente paura.
“Capisce, signorina Amabel?” Chiede retoricamente la Direttrice riprendendo il discorso fermatosi solo quel poco che le serviva per comprendere che in realtà non capivo affatto “La sua attenzione è stata di certo catturata dalla lezione sulla fauna di Arborea, su questo non ci sono dubbi, ma… Se le chiedessi che cosa ha appreso da essa, Signorina Amabel, che cosa mi potrebbe rispondere?” Cerco di fare il possibile per trattenere i gesti nervosi che ti prendono quando senti il panico salire; cerco di impedire alla mano di stropicciare la gonna e alle palpebre di sbattere in continuazione… ma dubito di riuscirci bene. Cerco di pensare in fretta e di capire dove sta il trucco nella domanda che mi ha appena fatto, perché l’unica e ovvia risposta che c’è è ovviamente quella sbagliata, ma non c’è verso: la Direttrice mi sta portando dove vuole lei.
“Che… Che il manto del Carmantino Selvatico è… è di un rosso vivo… con… con riflessi che sembrano essere quelli dell’argento?” Balbetto alla fine capendo che la mia alternativa è solo tra questa frase troppo ovvia per essere quella giusta e il silenzio che sarebbe ancora più colpevole di ignoranza.
“Ecco. Molto bene, signorina Amabel. Dalla lezione di Ornitolgia generica dei Paradisi dello scorso quadrimestre che cosa ha appreso?” Ormai rassegnata a scontare la pena per la mia intemperanza, questa volta esito un poco meno prima di rispondere con un’altra ovvietà.
“Che… Che il manto del Carmantino Selvatico è… è colorato in tre sezioni distinte di giallo, rosso e… e blu… e ha una lunga coda”
“Benissimo, signorina Amabel. Lei sembra aver seguito con grande attenzione entrambe le lezioni ed aver imparato qualcosa da ciascuna di esse. Tuttavia dovrà concordare con me che quello che le manca è l’approfondimento di insieme, signorina Amabel. Infatti ha appreso qualcosa dalla prima lezione e qualcosa dalla seconda, ma poi si è persa in altre sue fantasie, dimenticando che c’era qualcosa da imparare da entrambe le lezioni assieme… non è vero? – domanda ancora con il tono di chi sta illustrando l’ovvio – Che cosa le dicono infatti queste due lezioni messe assieme?” Non ne ho idea… Vuoto totale… a parte una sola conclusione logica che… No, non è possibile… O meglio: è possibile, ma del tutto irrilevante. Quindi non è per quello… Ce lo avrebbero detto… Oppure… No… Possibile? Ma in fondo che cambia? O quello o scena muta… Tanto vale…
“Che… Che il manto del Carmantino Selvatico…. Cambia… Cambia colore e la sua coda si allunga?” Il sorriso della Direttrice che si allarga a dismisura non ci impiega più di un secondo a farmi capire che ho detto proprio quello che voleva sentire… cioè la frase sbagliata.
“Ecco: ora avrà capito anche lei cosa mi costerna, signorina Amabel. Lei è stata molto attenta alla prima lezione… e molto attenta anche alla seconda, tanto da ricordare persino particolari tanto minuziosi, ma al momento in cui deve trarre le somme dalle sue informazioni, ecco che spende le sue energie alla ricerca di fantasiose soluzioni che poi si rivelano, devo dire, di scarsa utilità. Questa sua “passione investigativa” la porta a investire molto tempo e molte energie per poi giungere a conclusioni di scarsissimo beneficio. Tanto tormento infatti per giungere a supporre che il Carmantino Selvatico cambi colore del mantello… Un risultato ben magro, non trova? Specie se pensa che con solo un poco più di umiltà e molta meno intraprendenza, avrebbe potuto ricavare da queste due lezioni un insegnamento ben più grande…” La Direttrice lascia la frase a metà. So cosa vuole. E so anche perché lo vuole. Vuole che glielo chieda perché è come quando a scacchi fai cadere il re: è un gesto semplice, ma conclude la partita. Vuole che dichiari la resa… E, in effetti, non ho più molte mosse da fare…
“E… E quale… quale sarebbe?” Balbetto timidamente non senza fatica. Il sorriso raggiunge il più grande compiacimento possibile e solo allora, reclinando il capo, la Direttrice torna ad appoggiarsi allo schienale della sua poltrona nel più totale relax.
“Avrebbe dovuto comprendere quello che è fondamentale per progredire nei propri studi qui all’Istituto… Che è cosa ben diversa dal colore del manto del Carmantino Selvatico… E cioè che non è importante tanto il contenuto del messaggio… Quanto la nostra aderenza ad esso” La frase mi colpisce come un pacco di mattoni in piena fronte e cerco di pensare il più in fretta possibile a quale reazione la Direttrice desidererebbe vedere, ma questa sua rivelazione mi ha sconvolta. Mi ha sconvolta perché la Direttrice non è mai stata così diretta. Mi ha sempre suggerito di avere un atteggiamento più accondiscendente nei confronti degli insegnamenti, ma lo ha sempre fatto con la sua solita eleganza. Questa volta, anche se l’eleganza non è mancata, mi ha praticamente detto che non ha alcuna importanza che cosa ci insegnano, quanto piuttosto che noi la impariamo senza fare domande. Non fare domande è la cosa fondamentale.
Le domande… che sono quelle che faccio io su ogni cosa…
Ne avrei a decine anche su questo punto focale dell’Istituto… Ma non mi sembra davvero la cosa più saggia cominciare a farle proprio ora. Quindi rimango zitta mentre cerco di fingere di aver compreso (e soprattutto accettato) quello che la Direttrice mi ha appena detto.
Ma non devo essere molto convincente, perché dall’altra parte della scrivania la Direttrice inclina il capo sull’altro lato facendomi capire che è in attesa di una mia risposta o di un mio assenso. Io… Io a malapena riesco a fare finta di non voler fare domande… una risposta è proprio di là da venire… E temo che il mio sguardo da micino inzuppato anziché farle tenerezza le dia conferma della mia insicurezza.
“Signorina Amabel… Ha qualcosa da dire? La vedo turbata…” Questa volta almeno non mi salta fuori il “Chi io?!”, ma, a dire il vero, la situazione mi pare scarsamente più luminosa…
“Io… Io…” Ma, sinceramente, ormai la Direttrice deve averne abbastanza dei miei puntini di sospensione e non perde quindi tempo ad aspettarne altri.
“Deve capire la mia apprensione, signorina Amabel… Io sono genuinamente convinta che lei sia tra le nostre migliori studentesse, se non addirittura la migliore, per quanto riguarda le potenzialità. Il suo percorso formativo nel nostro Istituto deve condurla verso uno stadio di esistenza che non ha nulla a che fare con tutte le preoccupazioni che lei si impone… Essere un Angelo significa essere puri, essere puri significa non dubitare. Ma lei ancora sembra legata alla concezione mortale del dubbio: lei spera che il dubbio si possa superare con il sapere, ma sapere è solo un’approssimazione grezza che permette ai mortali di ridurre il dubbio, mai di eliminarlo… Mi dica, signorina Amabel, lei crede che basti? Crede che basti dubitare anche solo poco poco poco per poter diventare un Angelo?”
“N…No, Signora Direttrice”
“Molto bene, signorina Amabel, la risposta è corretta. Come è possibile allora smettere di dubitare pur non sapendo?” Il tono con cui la Direttrice mi accompagna è ormai più simile a quello di una mamma che accompagna la sua bambina all’asilo tenendola per mano piuttosto che quello che ci si aspetterebbe da un’istruttrice dei Paradisi… ma evidentemente è quello che mi sono andata a cercare con la mia arguzia… Così è solo l’imbarazzo, non l’ignoranza di cosa voglia sentirsi dire la Direttrice, che mi annoda la gola mentre rispondo.
“La… La Fede, Signora Direttrice…”
“Molto, molto bene, Signorina Amabel. Vedo che le sue “indagini” non l’hanno distratta al punto da farle scordare le cose più importanti. Lei e i suoi compagni state per varcare una soglia nella quale conoscerete non un mondo, non un universo, ma invero l’intero Creato. E non lo vedrete a brani, ma dovrete comprenderlo nella sua più infinita grandezza. Per fare questo, signorina Amabel, non potrà semplicemente sapere, imparare, dedurre… ma dovrà lasciare che la conoscenza scorra dentro di lei illuminandola anche là dove la sua mente, un tempo incatenata dalla sua condizione mortale, non sarebbe potuta arrivare. Capisce quale grande disegno è stato approntato per lei, signorina Amabel? Capisce quale occasione le viene offerta? Quale ricompensa può avere la sua Fede e quali conseguenze invece i suoi Dubbi?”
“I… Io… S…Sì, Signora Direttrice…”
“Signorina Amabel, l’attenzione che ho per lei è davvero speciale, glielo voglio assicurare. Lo è perché è evidente che per lei è pronto un posto particolare nella Creazione… Essere un Angelo significa essere puri, essere come una Colomba Bianca, aggraziata ed immacolata e lei, signorina Amabel… Guardi quanto somiglia a una candida Colomba… Guardi i suoi capelli dorati, guardi quanto sono fluenti e lunghi, guardi la sua pelle fresca e candida, guardi i suoi occhi azzurri, guardi quanto sono grandi ed intensi. Lei è perfetta, signorina Amabel; lei ha ogni segno che mostra la benevolenza della Creazione. Nessuno più di lei merita di diventare un Angelo” I complimenti della Direttrice mi scuotono più dei suoi rimproveri… Nemmeno così, nemmeno di fronte al più gentile gesto di distensione riesco a smettere… Smettere di farmi domande.
Cosa significa? La metafora della colomba bianca mi è nota, non è la prima volta che la sento; so che non si parla di una colomba vera né tantomeno veramente bianca. È appunto solo una metafora: deve richiamare un’immagine mentale. Ma il resto? I segni della benevolenza sono davvero i miei capelli biondi e i miei occhi azzurri? Cosa significa? Che le mie compagne con gli occhi nocciola o coi capelli neri sono meno meritevoli? E quelle con la pelle non perfettamente candida hanno meno possibilità di diventare un Angelo solo per la loro pigmentazione? Non… Non ha davvero senso, secondo me, anzi, mi sembra, come al solito, la negazione del senso stesso. Ma ancora una volta mi coglie la sensazione di essere messa alla prova. Forse la Direttrice sa benissimo che quello che ha appena detto non ha alcun senso. Forse vuole solo vedere se anche stavolta alzerò il capo proprio nel bel mezzo di una strigliata sull’obbedienza per mettere in dubbio il contenuto del messaggio… Anziché mostrare la mia aderenza ad esso.
Così, almeno stavolta, faccio la cosa giusta: sto zitta. E annuisco un poco, cercando di far passare lo sguardo di chi vorrebbe dire, ma non può, per quello di chi vorrebbe scusarsi, ma è troppo in soggezione per farlo.
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