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Quando infine i miei piedi calcano il marmo del corridoio, lo splendore che mi circonda può fare davvero poco per distrarmi dal panico latente che ancora mi rimbomba in testa e in ogni parte del corpo. Mi sento davvero sconfitta… e la gentilezza che la Direttrice mi ha continuato a mostrare nonostante il metodo certo poco “affabile” che ha usato per richiamarmi ai miei “impegni scolastici” mi sembra peggiori le cose. Vorrei dire che è stata cinica e cattiva. E invece no. Invece quando la guardo non c’è niente di tutto ciò nel suo sguardo. Forse lo fa davvero per il mio bene, finisco sempre per pensare… E questo mi lascia sempre dentro una sensazione un po’ contorta, un po’ strana… Anche se, a ben pensarci, è tutto normale… Cioè: che insegnante del paradiso potrebbe mai essere una Direttrice “cinica e cattiva”?
Oh, no… Sono appena uscita dalla sua stanza e sto già ricominciando a farmi domande… Mi sa che sto peggiorando.
Questa preoccupazione si trasforma quasi istintivamente in un inquieto sguardo che lancio al mio braccio destro; sollevo un poco la mano e fletto due o tre volte le dita e “ascolto” la sensazione che mi dà. Fino a pochi istanti fa lì c’era solo un arto bruciato… È davvero curiosa la sensazione di “ricordare il futuro”. Perché è questo ciò che sto facendo adesso. La mia mente ancora non può scordare quello che lo Specchio mi ha fatto vedere… E lo Specchio mi ha mostrato il futuro… il mio futuro. Un futuro in cui farò ritorno in quel luogo che ogni volta non posso fare a meno di identificare con l’inferno… e ogni volta la Direttrice non può fare a meno di correggermi.
Questa volta mi ha graziata. Ha visto che ero già allo stremo. Per questo non si è soffermata sulla mia ingenuità, ma ricordo molto bene cosa mi disse una delle prime volte che commisi questo errore.
Mi disse: “L’inferno, Signorina Amabel? Oh, no… Quello non è l’Inferno. Lei non ha nemmeno la più pallida idea di cosa sia l’Inferno. Lei pensa che l’Inferno, il luogo della dannazione eterna, possa davvero essere semplicemente un posto in cui si prova solo molto dolore? Lei non può nemmeno immaginare che cosa significhi dover esistere lontani dalla grazia del Signore per l’eternità. Ma non gliene faccio una colpa, signorina Amabel: pochi, davvero pochi, sono capaci di una simile astrazione… E, se devo essere sincera, ho sempre avuto l’impressione che, se i mortali non difettassero di tale immaginazione, se potessero davvero anche solo figurarsi che cosa sia l’Inferno… Be’, di certo essi non peccherebbero tanto frequentemente”
Anche quella volta la Direttrice mi stava sorreggendo mentre fissavo lo Specchio… E anche quella volta non aveva alcun sentore di crudele sarcasmo nella voce, anche se era difficile non cogliere l’allusione alla mia precaria situazione di allieva indisciplinata. Questa capacità della Direttrice è forse quella che più mi mette a disagio, questa sua professionalità sempre perfetta. È infatti incredibile che non si sia mai lasciata andare a un commento sferzante circa questa mia insistente tendenza a chiamare “inferno” quello che vedo oltre lo Specchio… anzi, ogni volta bada a spiegarmi con cura il mio errore, proprio come se fosse la prima volta che lo faccio… E, ovviamente, non manca mai di trovare ogni volta una nuova parabola, un nuovo suggerimento da propormi per i miei “studi”. Questa volta è stato per ricordarmi quanto è prezioso il dono che mi hanno fatto nello “scegliermi” per questo Istituto. Per ricordarmi quale prezioso dono mi sia stato fatto nel permettermi di “studiare” in un luogo tanto accogliente… e soprattutto per ricordarmi quanto io stia sprecando questa possibilità, sprecando il mio tempo in favore di inconcludenti domande.
Se non fossi assolutamente convinta che un Angelo non possa sbagliare, crederei davvero che io sia finita qui per errore… Davvero in vita sono stata tanto diligente e colma di fede da meritarmi questo onore? E perché ora sono tanto… Ehm… diciamo “insicura”? E se la Direttrice avesse ragione? Se avessi bisogno di tutto quell’orrore per capire il mio posto?
Istintivamente a questi pensieri mi porto la mano destra verso l’occhio, andando a sfiorare la palpebra con la punta delle dita, come per accertarmi che anche quello sia davvero ancora lì.
Quasi diciassette anni… Tanto sono sopravvissuta a quel mondo orrendo? Davvero a pensarci mi sembra un tempo fin troppo lungo. Mi avrà ucciso una malattia? O la violenza di un altro mio “simile”? O sarà stata la fame? O, ancora, sarà stata la fame di qualcun altro, di qualche bestia che ha fatto di me il suo pasto, come quell’insetto ha fatto con…
La precisa sensazione dell’agonia che ho provato nel perdere l’occhio è così viva che devo fare appello a tutta la forza di volontà che mi è rimasta per non lasciarmi sfuggire un singhiozzo terrorizzato.
“Amy stai bene?” Mi chiede una voce al mio fianco. Giro lo sguardo un poco sorpresa: il mio turbamento era tale da rendermi davvero del tutto ignara di ciò che avevo attorno. Di fianco a me c’è una ragazza della mia stessa età: ha i capelli di un castano chiaro lunghi fino alla spalle, portati lisci con un codino acconciato poco sopra l’orecchio destro, e gli occhi nocciola che esprimono una genuina preoccupazione. Si chiama Astrid ed è una mia compagna di classe. Be’ no, è qualcosa di più: credo sia la mia unica amica. “Amy” è il diminutivo che usa per il mio nome e lo pronuncia con la “A” aperta (quella di “Amo”) e non come se fosse una strana “E” (tipo “Emisfero”). Astrid adora i diminutivi e li distribuisce generosamente a tutti quelli che conosce, anche se è chiaro che non lo fa per “pigrizia” nel parlare, visto che spesso le abbreviazioni finiscono per essere inutili. Come nel mio caso: alla fine, quando l’atmosfera non è così pesante, il più delle volte il mio diminutivo diventa infatti un più ruspante e sarcastico “Amy bella” detto con il tono che userebbe una recluta con il suo commilitone piuttosto che quello appropriato a una liceale compita quale entrambe dovremmo essere. In ogni caso, tra Amabel e “Amy bella” io non ci vedo molta differenza, quindi pare che Astrid abbia solo una certa passione per rinominare le cose a modo suo. Ho ancora la mano sull’occhio e la sto fissando persa in questi ragionamenti quando mi ricorda che il tempo non smette di scorrere solo perché io mi perdo nelle mie fantasie “Yuuu-uh?! C’è nessuno in casa, Amy bella?”
“Ah… Sì, scusa Astrid, ero…”
“Non mi dire: eri sovrappensiero”
“Ehm… Sì, Astrid, a dire il vero è proprio così” Ecco… io tra l’altro per lei non posso nemmeno usarlo un diminutivo. Cioè: come lo abbrevi “Astrid”? “As”? No di certo. Magari “Astri”, ma per una “D” non mi sembra che ne valga poi tanto la pena. Piuttosto: Astrid è proprio un bel nome. Anche Amabel, certo. Pure quella viperetta di Elisea che ha spifferato tutto ha un bel nome… Pare infatti che in questo Istituto nomi un po’ più normali non si riescano a trovare. E, sia chiaro, ci ho provato ferventemente. Ma, nonostante sforzi di certo considerevoli, di “Pine” e “Mariucce” proprio non ho trovato tracce. In compenso un tripudio di “Isabelle”, “Ludmille”, “Alysette” e “Amylee”. A me pare davvero curioso… Ai tempi di questa “indagine” mi era parso pure curioso che la Direttrice non lo trovasse curioso; una specie di curiosità al quadrato, o forse più una radice quadra della curiosità, cioè non la curiosità della curiosità, ma la curiosità della non-curiosità…
“Terra ad Amy: sei ancora dei nostri? E non ti azzardare a dirmi che “in realtà non ha senso dire Terra ad Amy perché qui non siamo sulla terra” altrimenti…” Lascia in sospeso la minaccia, ma capisco benissimo dal tono sarcastico che usa che sta tentando di tirarmi su il morale evidentemente a terra. Ah, e… Sì, una volta mi sono messa a sindacare anche su quel modo di dire proprio con quelle esatte parole!
“Scusa davvero, Astrid: sono proprio un po’ intontita…”
“Che ti è successo? Hai fatto qualcosa all’occhio?” Chiede un poco preoccupata mentre con gentilezza e delicatezza mi prende con entrambe le mani il palmo della mia con cui ancora mi copro la palpebra. Scruta un poco mentre io riapro piano piano l’occhio “A me pare che sia tutto a posto… Ti fa male?”
“N…No. È solo che… che…” Astrid si acciglia corrucciando la fronte, preoccupata “Mi ha fatto vedere di nuovo lo Specchio…” Dico infine non senza una buona dose di vergogna.
“Oh, Santo Cielo, Amy…” Sospira lei costernata lasciando andare la mia mano per andare a unire le sue davanti al mento in un gesto che mostra sconcerto e preoccupazione “Di nuovo? Che hai combinato stavolta?”
“Nie… Niente… Cioè… Niente di diverso dal solito…”
“Oh, Amy… Ma se avevamo anche fatto esercizio “anti-interrogazione”!”
“S… Sì, io… Io sono stata attenta ma…” Provo cercando di chiudere la questione prima che vengano fuori certi particolari incriminanti che… Ma non c’è verso; Astrid mi comincia a fissare di sottecchi e si piazza i pugni sui fianchi, scrutandomi con cipiglio indagatore.
“Non le hai parlato della storia del Carmantino Selvatico, vero?” Uffa… Ma io dove stavo il giorno che hanno fatto la lezione di telepatia?
“Be’ io…” Provo a svicolare, ma Astrid tronca sul nascere il mio banale tentativo.
“Lo hai fatto” Questa volta afferma anziché domandare, a riprova che alla lezione di telepatia lei c’era ed era pure seduta in prima fila. A questo punto scatta il piano B: giustificarsi.
“Be’, ma avevano proprio detto uno una cosa diversa dall’altra, io…” Neanche finisco e Astrid leva gli occhi al cielo per poi tuffare la testa tra le mani.
“Oh, Amy! Ma…” Prorompe poi sollevando il capo e rivolgendomi uno sguardo di sarcastico compatimento “Non avevamo detto che del Carmantino non si doveva assolutamente parlare, non importa quanto ti provochino?”
“Sì, però…” Comincio, poi finisco in realtà per parlare più a me stessa imbronciandomi e guardando verso il pavimento “…Però avevano proprio detto due cose diverse” Mugugno a bassa voce non riuscendo ad abbandonare del tutto la convinzione che questa sia una spiegazione più che sensata.
“Mi sa che la Direttrice non l’ha presa bene…”
“No, proprio no…”
“Che faccia tosta che hai, Amy bella… io non riuscirei mai, nemmeno morta, a dire una cosa del genere in faccia a un prof, figuriamoci alla Direttrice!”
“Il tuo si chiama “Istinto di conservazione”, Astrid, e a me pare mancare del tutto” La apostrofo con un ghignetto ironico, rendendomi conto che il suo fare scanzonato mi sta cancellando piano piano l’ansia che la visita dalla Direttrice mi ha messo addosso “…E, per quanto riguarda il “nemmeno morta”, vorrei ricordarti che siamo morte e pure da un bel pezzo!” Aggiungo riprendendo l’aria da saputella che sfoggio sempre quando voglio scherzare con lei.
“Be’ allora diciamo che nemmeno morta morta io avrei il coraggio di fare un domanda del genere in faccia alla Direttrice!”
“Che vuol dire morta morta?!” Ribatto io imbufalita dalla violenza subita dalla logica per mano della frase di Astrid.
“Ssshhhh!” Mi zittisce lei con una buffa espressione sul viso “Siamo ancora davanti alla Direzione!” Con un’espressione altrettanto stramba mi piazzo la mano davanti alla bocca in un tardivo tentativo di fermare il suono, poi, quasi sghignazzando per la figura che abbiamo fatto sgattaioliamo via lungo il corridoio prima che qualcuno venga a controllare chi combina tutto quel fracasso.
Solo dopo qualche passo, quando siamo sicure di essere a distanza di sicurezza, Astrid ricomincia a parlare, anche se, con un mio certo disappunto, lo fa per canzonarmi un altro poco.
“Cavolo, Amy bella, se continui così in Direzione faranno prima a mettere le porte girevoli!”
“Ah ah! Moooolto divertente!”
“Grazie, lo so!”
“Piuttosto: tu che ci facevi davanti alla Direzione?”
“Quando non ti ho vista più a lezione e mi hanno detto che ti avevano vista discutere con Elisea del “senso delle lezioni” ho capito subito che c’era un posto solo dove potevi essere finita. E così sono venuta a prenderti! Non avrai creduto davvero che ti avrei lasciata da sola? Ma non cambiamo discorso: visto lo sprezzo con cui hai affrontato il pericolo, almeno adesso devi condividere il prezioso bottino! Cosa ti ha risposto la Direttrice?” D’improvviso l’aria giocosa in cui Astrid era riuscita a trascinarmi ha un terribile sussulto. Non per colpa sua; lei è sempre allegra e gioviale e la sua domanda è solo un genuino tentativo di distrarmi con un po’ di conversazione. Sono io che improvvisamente mi rendo conto di quanto la risposta sia tutt’altro che divertente.
Quello che mi ha detto la Direttrice mi scuote ancora. Quella sua chiara definizione dell’importanza dell’“adesione” al messaggio piuttosto che al suo contenuto ha per me un senso quasi “eversivo”. Mi sembra che, in realtà, in qualche modo, essa sconvolga tutto l’apparato di gentilezza e affetto che l’Istituto riversa nei suoi insegnamenti. Mi sembra che, dicendolo ad Astrid, lei potrebbe cogliere il significato di quelle parole come un’incrinatura. Mi sembra che quella rivelazione possa instillare il dubbio.
Se Astrid dubitasse, forse capirebbe meglio le mie perplessità.
Ma la cosa che mi preoccupa di più è che, se Astrid dubitasse, Astrid finirebbe come me davanti allo Specchio… E non a vedere un verdeggiante Campo Eliso che la attende.
Non so se voglio avere questa responsabilità…
Ma mentre ci penso la mia ingenua sincerità, la stessa che ha finito per farmi spiattellare la storia del Carmantino Selvatico davanti alla Direttrice, ha già fatto comunella con il mio istinto da ficcanaso e ha fatto funzionare la voce prima che io abbia davvero raggiunto una decisione.
“Ha detto che le cose che ci insegnano a didattica non servono davvero. È importante solo che le impariamo a memoria…” Mi sento dire mentre mi fermo sul posto come pietrificata dall’importanza di quell’affermazione con un tono davvero serio che cancella immediatamente l’aria scherzosa che ci eravamo date. Non solo: mi rendo conto solo dopo averle pronunciate che le parole che ho scelto sono quanto di più crudo e brutale potessi trovare per descrivere il consiglio/ordine impartito dalla Direttrice.
Astrid dal canto suo si ferma pochi passi dopo di me, accortasi che non la sto più seguendo e quando si volta si vede che ha capito che qualcosa è cambiato nella nostra conversazione. Mi fissa ancora, perplessa, mentre la risata sbarazzina ancora si deve spegnere tra le sue labbra. La vedo che pensa un po’, mettendo assieme nella sua mente le parole che ho sparso nell’aria, cercando di ricostruirne il senso.
Per un attimo ho paura di aver fatto un guaio, come se quella fatta dalla Direttrice fosse una confidenza di grande importanza, una specie di gesto di grande amicizia e fiducia che io ho tradito, come se quella rivelazione fosse per me sola, una specie di medicina estrema fatta solo per le mie orecchie, per la mia coscienza bisognosa di “ritrovare la strada” e che inserita nelle menti altrui, nelle menti “sane”, rischia di diventare un pericoloso veleno. Un veleno che io avrei appena somministrato alla mia migliore amica.
Ma questo è tutto un viaggio che mi faccio da sola. Dopo solo qualche istante Astrid scuote le spalle noncurante.
“Be’, meno male: è un sollievo sapere che dopo l’interrogazione mi posso scordare tutta quella roba, c’è n'è davvero troppa da studiare, se no!”
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