Tenshi no Namida


Se c’è un tratto che certo non è un luogo comune tra ciò che si dice a proposito degli elfi oscuri, di sicuro è quanto in loro sia marcato l’orgoglio. Creati dalle mani di Amryza per essere i suoi figli, furono donate loro le forme più perfette, le pelli più morbide, i capelli più fluenti, i movimenti più aggraziati. Il loro spirito sublime quasi traspira dalle loro carni. Ma in un mondo in cui non domina il solo spirito, ma anche la cruda materia, anche il cranio più perfetto si spezza sotto la mazza più primitiva. E la pietra e il ferro non sono ormai certo più segreti nemmeno per le più infime razze di uomini lucertola o gnoll. Per questo la possibilità che un essere inferiore prevalga su un elfo oscuro è più di una remota ipotesi.

Non è sufficiente essere stati prescelti dalla Grande Madre per essere creature perfette, è necessario che ogni elfo oscuro impegni la sua vita per dimostrarsi degno di tale onore.

Disonorare il nome di Amryza compiendo un errore è spesso una condanna a morte per uno dei suoi figli, ma il marchio dell’infamia a volte ricade su taluni che non possono discolparsi, né possono essere al tempo stesso ritenuti colpevoli. Sono coloro che sono figli di un errore. Sono coloro che sono nati senza una famiglia che li volesse riconoscere. Sono gli orfani.

Ancor più che sugli altri giovani membri di questa razza, sugli orfani degli elfi oscuri grava il peso dell’orgoglio ferito. Essi non possono rimediare all’errore che li ha macchiati e devono dimostrare che, sebbene vergogna dei loro stessi genitori, essi sono stati chiamati in questo mondo dalla Grande Madre in persona per servirla. Se essi possono dimostrare di essere degni di servire la Madre, allora significa che sono da lei benvoluti. E la benevolenza di Amryza non può essere messa in discussione nemmeno dai tetrarchi che governano la nazione elfica. E’ così che un orfano si conquista il diritto ad essere un vero Elfo Oscuro.

Drusinua cominciava a disperare di poter ricevere tale benevolenza e si chiedeva se davvero non fosse indegna di servire la Madre Oscura. Nata senza genitori aveva affrontato insieme ad altri come lei le difficili discipline che i funzionari avevano studiato per far emergere solo chi sarebbe stato utile per la propria razza e per poter eliminare senza rimorsi gli altri. Il suo corpo agile e i suoi buoni riflessi la convinsero che avrebbe potuto primeggiare nelle arti della battaglia piuttosto che in quelle dello studio e quella sua impavida irruenza la portò a preferire il cammino della spada piuttosto che quella dell’arco o del pugnale nell’ombra. Ma ora il tempo sembrava sul punto di scadere. Quando ancora era una ragazzina, prima ancora cioè che il vecchio istituto fosse arso e raso al suolo da un saccheggio orchesco, allora sembrava poter diventare una tra le migliori. Ma ora non era più abbastanza.

Le inette e le incapaci erano già da tempo state allontanate o avevano provato altre strade e così, senza quelle peggio di lei, da “una tra le migliori” ora era lei a trovarsi tra le “peggiori”. I suoi colpi erano certo precisi, ma spesso prevedibili, i suoi attacchi coraggiosi, ma scarsamente pianificati. Troppo spesso finiva i suoi allenamenti a terra, sconfitta dalle compagne più abili, lo sguardo di disappunto degli insegnanti sferzante sulla sua schiena più di qualunque scudiscio. Benché nei giorni della sua infanzia fosse stata affascinata dalla rigidità e dall’intransigenza che governavano quei luoghi, ora che ne provava giorno per giorno sulla pelle le asperità non poteva fare a meno di esserne ferita e avvilita.

Era cresciuta nella gloria di Amryza… Fin da quando poteva ricordare, qualcuno le aveva detto di quanto ogni suo respiro dovesse essere a Lei dedicato… Ogni giorno gli insegnanti le avevano ricordato che gli Elfi Oscuri erano i figli della Dea e che dovevano essere il suo orgoglio e il suo vanto… ogni giorno le avevano detto che ogni suo fallimento era un affronto alla Grande Madre… E lei non aveva mai voluto dispiacerla. Le grandi statue di Amryza troneggiavano ovunque in quell’ampio dedalo sotterraneo che doveva chiamare “casa”. Lo sguardo austero delle raffigurazioni era proprio come Drusinua si immaginava la Madre Oscura: una madre dall’immenso potere pronta a elargire i suoi doni a coloro che la rendessero felice, ma senza alcuna pazienza o amore per coloro che non sapevano essere all’altezza delle sue aspettative.

Quando era stata lei a primeggiare sulle sue avversarie, non le aveva mai schernite, non le aveva mai umiliate… In cuor suo era veramente convinta che fosse davvero inutile… Dispiacere Amryza era già una pena sufficiente da sopportare… Non credeva vi fosse alcun merito o piacere nel dimostrare a un suo fratello che non era degno… era solo un gravoso compito che doveva espletare… Perché era il volere di Amryza…

“Se verrà il mio momento – aveva pensato guardando le sue compagne sconfitte – sarà perché qualcuno che più di me ha la Grande Madre nel cuore a lei più si è votato” Pensava quindi che avrebbe sempre ammirato le sue compagne che la precedevano nelle graduatorie e più di lei primeggiavano nelle varie prove e competizioni. Ma da quando invece il suo gruppo si era assottigliato ed era lei rimasta ad occupare la coda delle graduatorie, la sua certezza non era più tanto limpida… Per quanto tentasse di tenere il passo, per quanto tentasse di impegnarsi negli esercizi, la sua abilità non era all’altezza delle altre. E queste sembravano gioire della cosa. Non gioire di essere abili: lo avrebbe compreso. Ma gioivano della sua sfortuna, dei suoi fallimenti… Era diventato per le sue compagne una specie di divertimento… e tutt’altro che disapprovato dai suoi insegnanti, che anzi sembravano pienamente condividere lo scherno che le riversavano addosso.

Tra tutte, una sua “sorella” in particolare sembrava prendere diletto nel renderla misera. Le avevano assegnato il nome di Lelenia e, benché fosse orfana proprio come tutte loro, nessuno, insegnanti compresi, faceva mistero del fatto che la sua abilità nell’arte della spada le avesse già riservato le attenzioni della stirpe degli Eldoryl che probabilmente l’avrebbero adottata alla fine del suo addestramento e le avrebbero dato un rango nella società degli Elfi Oscuri. Non era perciò raro sentire che la chiamassero già con il nome completo del casato che l’avrebbe accolta. Tra loro che nulla possedevano, un Nome era già più di quanto il fato non avesse loro assegnato facendole nascere orfane. Un nome completo aveva quindi un Potere quasi tangibile… Un Potere che affascinava tutti quanti gli “allievi” di quel luogo.

Un tempo anche Drusinua aveva subito quel fascino… Ma era ormai sparito da tempo. Proprio quel fascino aveva stretto attorno a Lelenia un folto gruppo di compagne che la seguivano quasi fosse uno dei funzionari che le addestravano. E inebriate da quello stesso fascino, tutte le sorelle, che avrebbero dovuto essere anche sorelle sue, accortesi del disprezzo che la loro ispiratrice nutriva verso di lei, non avevano esitato a fare a gara a chi le riservava le meschinità più avverse. Oramai Lelenia non aveva più nemmeno bisogno di impartire gli ordini, come faceva all’inizio; erano le sue compagne stesse che immaginando i desideri della sorella si prodigavano a eseguirli.

Più il suo distacco di abilità rispetto alle più dotate del corso diventava marcato, più le cattiverie che le riservavano diventavano frequenti e meschine, al punto che quando, durante il tragitto dalle mense alle camerate, un gruppo di assalitrici la costringeva con il volto nel fango, non chiedeva nemmeno più loro il perché. Né nelle notti d’inverno chiedeva chi fosse stato ad averle inzuppato completamente il giaciglio di acqua gelida… quando non era qualcosa di peggio…

Ma il perché Drusinua lo chiedeva a sé stessa… Mentre si ripuliva il viso o si cercava un posto riparato dove passare la notte.

Perché una prescelta di Amryza doveva comportarsi in tal modo? Oppure la domanda sembrava potersi capovolgere: perché Amryza aveva scelto una simile sorella? E quando la risposta che le avevano insegnato fin da bambina si faceva largo nella sua mente (“perché Lelenia è più forte e più abile e meglio può servire la sua razza”) allora ecco che si poneva delle altre domande: Perché non riusciva a diventare altrettanto forte? Non desiderava altrettanto servire la Grande Madre? Non voleva con altrettanta forza mettere la sua spada al servizio di Amryza?

Per un umano gli infami tiri che Lelenia e le sue sorelle le riservavano sarebbero stati insopportabili, ma per Drusinua, che era nata tra gli elfi oscuri, ciò che veramente la bruciava nel profondo era vedere che qualcuno che non credeva degno servisse la Madre Oscura meglio di lei… E ancor di più il fatto che, per quanto si impegnasse, non fosse in grado di superare una sorella che riteneva indegna…

Fu nel tempio di Amryza che tentò di sciogliere questi dubbi chiudendosi in preghiera. Al principio il tempio era il suo rifugio solo perché sapeva che lì gli affronti delle compagne non l’avrebbero seguita, ma presto, vedendo che il suo impegno non era in grado di portarle l’ispirazione cercata, si trovò china di fronte all’altare implorando la Madre Oscura per una risposta, per un’illuminazione… E, sebbene la fredda pietra in cui l’effige della Madre era scolpita non le restituisse alcun consiglio, per quanto intensamente le rivolgesse le preghiere, il grembo del tempio fu per lei luogo di immenso conforto… e di immensa meraviglia.