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La notte era tiepida, quasi completamente silente. Fuori dall'edificio, nascosti in qualche anfratto di roccia o nei ciuffi d'erba, i grilli risuonavano nel sottofondo; la luce della luna, pallida ma intensa, penetrava dalle finestre prive di persiane o tende, illuminando il letto di Sara con figure geometriche argentee. I vicini già da un po' avevano cessato il loro noncurante rumore notturno, ma comunque la ragazza oramai riusciva a prendere sonno anche prima: desensibilizzata, al punto in cui era, non arrossiva più nemmeno. Il primo segno fu un forte rumore, di qualcosa di legno che cadeva pesantemente per terra; Sara aprì un occhio di malavoglia, credendo, nel dormiveglia, di aver solo sognato quel rumore e, in effetti, tutto tacque, a parte un mormorio appena percettibile, ma il sospetto la tenne sveglia... Fu poco dopo che, convintasi della tranquillità della situazione, ripose il capo sul cuscino tentando di riguadagnare il sonno che un altro forte rumore invase la notte: fu un vaso che si schiantava per terra, fracassandosi, e subito dopo di esso, voci urlanti spezzarono il silenzio; erano voci litigiose, quasi violente che echeggiavano nel buio della casa. Sara si rizzò a sedere sul letto, voltando il capo verso la porta, dall'altra parte della stanza, cercando di comprendere il più possibile di quel litigio rumoroso: una era la voce di Bob, strepitante e minacciosa, anzi, quasi furibonda, l'altra invece... sembrava quella di Rosa, ma era distorta in questo tono in mezzo tra la rabbia ed il pianto a dirotto, gridato a squarciagola con un tono stridulo, le parole mangiate. Inutile dire che non si capiva un'acca di cosa stessero urlando, solo negli urli imperanti di Bob, Sara riusciva a intuire dei pesanti insulti, cosa che, ovviamente, la preoccupò non poco. La ragazza strinse le dita nervose sulle coperte di cotone, mentre il respiro si affannava, e la preoccupazione saliva perché ogni volta che le pareva di cogliere un brano di discorso, un rumore qualunque copriva il senso di quelle frasi, lasciandola di nuovo nell'ignoranza. Le grida si fecero a un certo punto ancora più aspre e andarono ancora di più a sovrapporsi, Sara le sentì distintamente avvicinarsi alla sua porta e la paura crebbe, non sapendo come affrontare la situazione. Improvvisamente il furioso litigio terminò con uno schiocco, per un attimo la voce maschile smise di urlare, mentre quella della donna lanciò un grido e poi si mise a piangere più forte. Il rumore degli zoccoli che battevano sul pavimento di legno la avvertì della corsa di qualcuno che si avvicinava, preparandola al momento in cui la porta si aprì, scaturendo la figura di Rosa, in lacrime e più che sconvolta; la donna chiuse la porta dietro di sé, Bob sbraitò ancora per un poco, mentre Sara fissava la donna con gli occhi spalancati ed il cuore in gola, ignara di cosa stesse succedendo. Infine, quando le urla dell'uomo scomparvero del tutto, rimase solo il pianto della donna a riempire il silenzio, Rosa, sempre piangendo, si staccò dalla porta, a cui era rimasta appoggiata con la schiena, e mosse dei passi insicuri verso la sedia accanto al letto della ragazza: barcollava, ma non il barcollare proprio di chi, ferito, deve badare a come poggiare i piedi, ma come chi, non padrone dei propri movimenti, è costretto ad arrangiarsi trovando un compromesso tra ciò che vuole fare lui e ciò che il suo corpo fa all'atto pratico. Infine, sempre in lacrime, la donna si sedette insicura al fianco del letto.
"R...Rosa?..." Provò timidamente Sara, ma dalla figura non venne alcuna risposta, come non avesse sentito, troppo impegnata a singhiozzare. La ragazza cominciò ad ansimare un poco, certamente messa a disagio da quella situazione; rimase lì ferma, ad aspettare una qualunque reazione, attendendo che qualunque cosa succedesse, e successe... Il suo sguardo, che vagava in ogni direzione nell'attesa, fu richiamato dalla luce della luna fin sul corpo di Rosa, e trasalì. Trasalì però non per il vistoso segno livido che le copriva lo zigomo, ma per la serie di piccole macchie rosse che punteggiavano l'avambraccio vicino al gomito della donna; Sara non era un'infermiera, ma non le serviva un diploma per riconoscere i segni di iniezioni frequenti ed eseguite con poca perizia, tipiche sulle braccia di chi assume droga...
E' tutto a posto, mi dissi... Nessuno è perfetto, anche i migliori cadono su alcune cose... La droga è un problema che stringe tantissime persone validissime, non bisogna colpevolizzare i drogati, ma chi produce quella roba... E continuavo così all'infinito, la stima che avevo di Rosa saldissima, scossa appena da quella visione, anche se, innegabilmente, in quel momento stavo vedendo la persona che più mi aveva aiutata in preda agli evidenti effetti di una dose di eroina...
"Sara" disse improvvisamente la donna, chiamandola tra le lacrime "Sara, piccola mia, vieni qui" Sara un po' titubante si avvicinò e lasciò che la donna la stringesse in un abbraccio in cui cercava consolazione "Sara, dio mio... Mi dispiace, mi dispiace tanto..." Ripeté singhiozzando
"R...Rosa... Ti spiace? Di... Di cosa?" Chiese lei pretendendo che la sua matrigna conservasse ancora della lucidità nei suoi discorsi
"Mi dispiace... Per tutte le stronzate che ti ho detto... Non dovresti mai credere alle parole dei falliti drogati... La vita... La vita è uno schifo! Tutto fa schifo! Non c'è niente per cui valga la pena di vivere! Qui tutto è una merda!" Sara ascoltò impietrita la ritrattazione della donna, inorridita al vedere che quell'unico sostegno che aveva le veniva tolto
"Rosa... Rosa non dire così... Ricordi quello che mi dicevi? E... Era giusto... Mi... Mi ha aiutato tanto..." La donna sollevò lo sguardo sulla giovane e allargò le labbra in un sorriso tristissimo e disperato...
"Sara... Come sei piccola e ingenua... Tu forse puoi ancora salvarti... Ma guarda me... Guarda come sono ridotta... Faccio schifo... Sara... Piccolina... Non voglio scivolare via fino a diventare una lumaca... fino a che non divento merda anch'io... Capisci quello che dico?" Chiese con una disperazione risoluta. Sara annuì, un poco nel panico, anche se non capiva davvero perfettamente "Sara... Non lasciare che diventi anch'io una merda in questa fottuta fogna... Tu lo farai per me, vero?" Il fiato di Sara si fece più insicuro, tergiversando su quella risposta "Ti prego, Sara!" Gridò d'un tratto la donna spaventandola al punto di farle ritrarre il capo un poco di scatto "Sei l'unica che sta fuori da questa merda, devi aiutarmi! Non ho nessun altro, capisci?!" Sara annuì, più per la paura che per la vera convinzione in quel febbrile discorso "Ecco, brava bambina... Allora... Prometti che quando mi vedrai diventare una lumaca di merda... Mi salverai, vero? Tieni, tieni questo..." Disse mentre il tono tornava stanco, singhiozzante e bisbigliante. Rosa passò tra le sue mani il regalo di Sara... La ragazza incredula strinse entrambe le mani intorno all'oggetto di metallo e lo sollevò, guardando la pistola automatica che adesso stringeva tra le mani, scioccata "Non pensarci due volte... sparami in testa... e salvami da tutta questa merda e poi... quando ti sentirai sola... quando capirai che qui tutto è davvero merda... potrai usarla per venire a trovarmi..." Sara sgranò gli occhi, terrorizzata, ma non disse nulla. La donna, prendendo quel silenzio per un assenso alla sua follia, le carezzò il capo piangendo "Brava, brava bambina... Adesso dormi... Dormi che è tardi... Vuoi che ti canti la ninna nanna?" Sara scosse il capo, gli occhi spalancati e sconvolti. "Buonanotte allora..." Concluse la donna febbricitante. Si sollevò dal terrore di Sara e con passo trascinato lasciò la stanza.
Boom! Ecco un'altra di quelle cose da aggiungere alla "Lista delle cose che non vorresti mai che ti capitassero"... Una gran bella sberla, non c'è che dire, ma mi diede la sveglia necessaria per rimettermi in piedi. Tra l'altro, il mattino dopo, Rosa non ricordava per niente quello che era successo e riprese lo sguardo allegro e vivace di sempre, ma per me, che avevo visto che cosa la stringeva dentro, era solo un doloroso riflesso che mi ricordava quale fosse la realtà. E la realtà era che ero una stupida. Ancora oggi non mi capacito di come avessi fatto ad ignorare la vera natura di quel posto, che era, ovviamente, tutt'altro che una casa. Io ero ospite di nient'altro che un bordello, di cui Rosa era probabilmente la più anziana e le voci che sentivo la notte erano non certo dei fantomatici vicini, ma dei clienti e delle altre ragazze. Per quanto riguardava Bob, feci bene a non chiedere mai se fosse il marito di Rosa, perché evidentemente lì era il gestore; Rosa, donna sicuramente dall'animo buono e dal destino bastardo, aveva voluto salvaguardarmi da quella terribile realtà isolandomi dal mondo esterno e facendo affidamento sulla mia ingenuità, piano che, fino a quel momento, aveva funzionato. Ma da quella notte io non ero più la stessa, la disillusione che Rosa mi aveva portato quella notte era forte quanto la carica che mi aveva dato prima, ma anziché mangiarmi da dentro come capitava a Rosa, a me diede un incredibile senso della sopravvivenza, dandomi la mossa che fino a quel momento mi mancava. Non appena le mie ferite furono guarite, mi premurai di riabilitarmi a tutte le funzioni di un corpo normale, quali il camminare ed il saltare, prevedendo che avrei fatto meglio a levarmi di torno il più presto possibile perché lì Rosa non avrebbe potuto tenermi al sicuro per sempre... Poi infine giunse il giorno tanto temuto ed atteso...
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