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La ragazza cominciò a sentirsi ancora più a disagio di come era stata fino ad allora, visto che oramai non era più una sola la persona che la ignorava, ma addirittura quattro e, come se non bastasse, la sensazione che tutto fosse davvero troppo strano si stava facendo largo verso il suo cuore con passi lunghi e veloci. Il silenzio tornò ad impadronirsi anche di quel breve rifugio che aveva trovato mentre nessuna pronunciava più una sillaba, ma fu come se la risposta non fosse attesa: la Gelida figura ancora seduta non rivolgeva nemmeno più il suo sguardo alla sua Notturna amica, mentre invece sembrava volesse di proposito congelare la vistosa ragazzina appena arrivata con il solo sguardo. Fu l’ultima delle quattro a rimettere in moto gli ingranaggi di un tempo apparentemente fermo alzandosi a sua volta dal tavolo e avvicinandosi all’orientale che ancora la fissava inquietantemente non accennando ad abbassare il braccio che le sfiorava il volto.
“E’ vero? E’ stata la mia amica a portarti qui?” Chiese la quarta avvicinandosi mentre si passava una mano tra i voluminosi capelli verdi, avvicinandosi fino ad essere al fianco di Domina.
“S… Sì…” Balbettò ormai priva di quelle barriere di cartapesta che di norma la facevano sentire tanto al riparo e che lei chiamava sicurezza e superiorità. Seguì ancora il silenzio mentre anche quest’ultima assottigliava gli occhi in uno sguardo scrutatore che di fronte al quale si sentì nuda ed impotente.
“Sei davvero una sciocca… in fondo avrei dovuto capirlo subito: basta
vedere come ti vesti…” Commentò lapidariamente mentre si voltava. Fu
per lei come una pugnalata al cuore che la risvegliò da uno strano sonno…
O forse fu l’ultimo passo di quella sensazione che marciava verso il
suo cuore, il cui arrivo le fece varcare la soglia della follia… fu
comunque come se qualcosa si rompesse dentro di lei, anche se fu più
simile allo spezzarsi di un esile ramoscello piuttosto che lo schianto
di un grosso ramo.
“Co… Come ti permetti?! Senti chi parla poi!” Agitata, volle avvicinarsi alla figura che, voltatele le spalle si stava allontanando come se non esistesse. Notò solo allora che la mano dell’orientale ancora poggiava sulla sua guancia; pensò di aver ritrovato la vera se stessa tanto da sentirsi infastidita da quella confidenza e fece per prenderle la mano e spostargliela con sgarbo, ma capì che quello che aveva trovato non era coraggio, ma solo un briciolo di pazzia dettata dalla paura, quando, appena un attimo prima di toccare la mano, all’altra bastò inarcare un poco gli occhi in segno di disappunto per ricacciarla nella sua paura e nei suoi brividi, facendole dimenticare, anzi, facendola pentire di aver anche solo pensato di rifiutare quel gesto cortese che le era stato concesso. Il suo fiato sembrò non voler più risalire la sua gola ed il suo sguardo rimase fissato sul viso di quella sua severa Domina, intimorito dal pensiero di cosa avrebbe potuto succedere a chi avesse violato i di lei ordini.
“Perché ti scaldi?” Continuò quella coi capelli verdi, l’unica che nella voce conservava un barlume di vita, anche se più che un barlume solare sembrava un riflesso di luce su di una lama affilata. “Non ho detto nulla di strano: solo una sciocca penserebbe di essere arrivata fin qui solo perché qualcuno ce l’ha portata…” Si voltò a fissarla, dopo essersi riavvicinata al tavolo, mettendosi a giocare con un nastrino di raso nero che faceva scivolare fra le dita affusolate, come se il salire e scendere della stoffa fossero le rime di una poesia che anziché essere recitata fosse mimata nell’ondeggiare delle dita.
Lei avrebbe voluto risponderle, ma il massimo che sentiva di potersi
permettere era di distogliere fugacemente il suo sguardo dall’orientale
di fronte a lei che ancora non l’aveva congedata per la sua impudenza.
Infine il suo carceriere decise che la lezione fosse stata sufficiente,
o che ne avrebbe avuto bisogno di più severe; a ogni modo le diede
le spalle, liberandola da quella fredda stretta che le aveva angustiato
il cuore. Ma non appena la sua austera tutrice non la curò più, lei
fu subito nuovamente preda delle sue cattive abitudini: l’arroganza
e l’orgoglio. Dimostrandosi ancora non padrona degli insegnamenti della
sua Domina, si lanciò nuovamente in una aggressiva affermazione
“Ma sei cieca? Non hai visto che mi ci ha portato la tua amica in questa piazza?” Senza smettere di suonare la sua silenziosa melodia con il nastro di raso l’altra replicò nascondendo un beffardo sorriso dietro la mano ondeggiante.
“Lei ti ha portato a questa piazza, ma sei stata tu ad arrivare fino a lei…”
“Che Cosa?!!” Si caricò ancora di più lei sentendo di voler dimostrare a quelle quattro con chi avevano a che fare, ignara del fatto che esse ne erano perfettamente a conoscenza “Guarda, io stavo solo cercando la strada per un locale, devo aver sbagliato strada e sono finita lontano, questo è tutto! Anzi, prima non dovevo essere nemmeno tanto lontana, mentre invece adesso guarda dove sono finita!” Si voltò verso la rossa che continuava a sedere imperturbabile “Si può sapere dove diavolo mi hai portato?! Non ti ho mai chiesto di portarmi in un posto del genere! Io volevo tornare a casa!” Quella che era stata la sua guida fino a pochi passi prima non perse la sua flemma, rispondendo al suo tono concitato ed accusatorio semplicemente incrociando le braccia in un’elegante posa. Non resistendo più a quell’atteggiamento di sufficienza che nessuno si era mai permesso di rivolgerle prima, era sul punto di rilanciare con qualche insulto, ma la rossa infine parlò, bloccando il suo slancio come se l’avesse fatta inciampare.
“Hai ragione, non me lo ha mai chiesto…” Pronunciò con tutta tranquillità
“Cosa?! Hai anche il coraggio di ammetter…” Prese ad impennarsi lei, pensando che fosse ormai giunto il momento in cui avrebbe loro dimostrato di che pasta era fatta.
“… Ma lo hai chiesto a te stessa…” La freddò con semplicità l’altra. “…E per me era più che sufficiente…”
“Ma… Ma… Ma si può sapere che diavolo stai dicendo?! Di che cosa è che continuate a blaterare con quel tono da “so-tutto-io”?!” Balbettò l’altra, provata da quella esperienza esasperante fino al punto che cominciava a sentire le lacrime che desideravano uscire dagli occhi. Il pianto era una carta che le era sempre riuscita bene, aveva intenerito ragazzi, commosso genitori e convinto professori, sempre con ottimi risultati, cioè farli sentire in colpa al punto di fare qualunque cosa per lei… E anche questa volta non desiderava diversamente, voleva che tutti facessero quello che lei desiderava…
“Io… Io voglio solo tornare a casa!” Finse di implorare sforzandosi di rendere i suoi occhi il più lucidi e compassionevoli possibili.
Per tutta risposta la ragazza che ancora stava suonando quel suo nastro di raso nero si lasciò sfuggire un risolino sarcastico, quasi un ghigno, che fu comunque quanto di più emotivo provenne dal quartetto in risposta alla sua scena
“…Davvero?” Chiese con tono sarcastico non appena la sua risata si dissolse echeggiando tra i muri delle vie, fuggendo via, come per portare notizia di quella buffa scena a tutto quel posto lugubre “…Davvero vuoi tornare a casa?”
“Sì!” continuò a sceneggiare lei costringendosi a un atteggiamento spaurito ed infantile
“Ah… Non ti piacerebbe rimanere qui? Questo posto non ti piace?” Chiese l’altra mentre appoggiava la guancia alla mano, come se fosse incuriosita di vedere fino a che punto si sarebbe spinta la recita dell’altra. Adirata per questa assoluta disattenzione alla vulnerabilità che aveva mostrato, la ragazza gettò infine la maschera, gridando e quasi digrignando i denti
“E chi vorrebbe mai rimanere in questo squallido buco dimenticato da tutti?! A parte voi… Voi… Voi mummie che passate le vostre serate sedute davanti a un bistrot chiuso! Svegliatevi, siamo nel Ventunesimo Secolo !” Ci fu un attimo in cui tutto il posto sembrò essersi fermato per ascoltare quell’eco impudente rimbalzare senza ritegno ovunque, poi la rossa si sollevò e l’eco sembrò spegnersi come per rispetto |