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Il Sogno si interruppe dolorosamente e definitivamente solo quando le
fiamme appiccate dagli orchi cominciarono a lambirle la pelle, ma era
troppo tardi se non per urlare. E furono proprio le urla strazianti di
cui è capace solo una bambina arsa viva che misero in fuga gli orchi,
convinti che gli elfi oscuri avessero in qualche modo evocato uno dei
loro terribili spettri dall’oltretomba. Gli orchi lasciarono il posto
con un bottino ammezzato e nessuna voglia di cercare spie o
sopravvissuti, fu così che quell’elfa Adoratrice di Nidillia potè
avvicinarsi ai ruderi ancora in fiamme senza che la vedessero e la
uccidessero… Fu così che l’elfa potè lasciarsi guidare dalle grida fino
al corpo ormai irriconoscibile della bambina… Fu così che si accorse che
la bimba ancora non era morta e fu così che la trasse “in salvo”
Tra i suoi simili, ella era chiamata Selinue, ma pochi ormai la
chiamavano. Un tempo era stata una discreta guerriera, guardiana dei
confini del regno elfico, ma col passare degli anni, complice la sua
missione e le strazianti immagini che la frontiera le aveva regalato, il
senso di tutta quella carneficina aveva cominciato a sfuggirle… E gli
orchi, gli elfi, i nani, gli umani e persino i fratelli oscuri avevano
cominciato a parerle tutti uguali… Tutti colpevoli… Tutti innocenti…
Tutti allo stesso modo: Elfi, umani, nani, orchi, tutti quanti morivano
e soffrivano allo stesso modo. Per questo decise di deporre l’arco e di
dedicarsi ad aiutare chi il fato aveva reso meno fortunato. Così nel
luogo che gli altri elfi chiamavano “Sanatorium” ella raccoglieva
malati, vagabondi e feriti di ogni razza senza rifiutare un po’ di
gentilezza a nessuno. Fu così che portò il corpo deturpato dalle fiamme
della bambina al rifugio costruito sui territori delle Zone Neutrali e
con le poche cure che poteva offrirle le impedì di morire.
Per questo quella bambina la odiò per tutti gli anni a venire.
Infatti, benché gli altri elfi tollerassero e fossero comprensivi nei
confronti del desiderio di pace di Selinue, nessun sacerdote della sua
nobile razza avrebbe mai pronunciato la parola di Nidillia per chiudere
le ferite di un’elfa oscura e Selinue era un’arciera, non una
sacerdotessa e a stento una donna di medicina. Le ferite della bambina
erano troppo gravi perché qualunque cosa fuorchè un miracolo le
rimarginasse. Selinue accudì la piccola amorevolmente, ignorando
l’orrore che le si parava davanti, con il sentimento e l’abnegazione che
una madre dimostra verso una figlia, sempre sollecita nel soccorrerla o
nel tentare di alleviare le atroci sofferenze; eppure solo la lingua
ormai ridotta a uno scarno carboncino e il corpo paralizzato dai muscoli
disciolti impedivano alla ragazzina di esprimere l’unico desiderio che
Selinue non era in grado di percepire o forse di “concepire”: “Voglio
Morire!”
L’atroce pena che il corpo scarnificato e carbonizzato infliggevano alla
ragazzina era al di là di qualunque sofferenza avesse mai immaginato.
Nessun rimedio o palliativo poteva sottrarla a quell’inferno e nessuna
guarigione era possibile: sapeva che avrebbe dovuto subire quella
sofferenza finchè Amryza non l’avesse riabbracciata.
Come già era stato prima, tentò di fuggire dal mondo, tornando a
richiudersi nella sua mente… Ma le fiamme erano giunte anche lì… Quando
il solo occhio che era sopravvissuto all’incendio cercava il buio per
portarla via da quella tortura che era la veglia, il luogo in cui
piombava era ormai il riflesso di quel giorno maledetto che l’aveva arsa
viva. Tutto ciò che vedeva era ormai un infinito incubo fatto di
ruggine, sangue e cadaveri carbonizzati dove non vi era sole, ma solo
un’eterna notte senza luce. Ovunque il sangue rappreso macchiava ogni
panno o drappo che fosse sfuggito all’incendio che aveva arso ogni cosa
e ogni speranza di rinascita e ciò che non poteva bruciare, perché di
metallo, lo stesso sangue lo aveva roso e incrostato. Coloro che erano
stati i suoi sudditi o che avevano animato in altro modo il suo mondo
erano ora figure orrende e deturpate dal suo incubo, prive di fattezze
coerenti che si trascinavano rantolando un dolore immenso e senza fine
con l’unico apparente intento di inseguirla e cercarla in ogni luogo,
forse desiderosi di infliggerle altro dolore per vendicarsi di essere
stati tramutati in quegli orrori. Gli opprimenti spazi di quell’incubo
distorcevano in un orrendo inganno i luoghi in cui aveva trovato
paradisiaco rifugio: I letti a baldacchino dei castelli in cui era
regina ora avevano le coperte intrise di un sangue che ancora puzzava e
sotto di esse qualcosa si agitava con gli spasimi di un’agonia infinita
attendendo che la sua incauta mano svelasse il segreto… Ed invero fu
troppo spaventata, o abbastanza lucida, dal non lasciarsi mai tentare
dal desiderio di svelare il truce mistero. Anche le strade dei paesi in
cui aveva sfilato alla ribalta di magnifiche carrozze erano ora un
labirinto angusto di cavi arrugginiti e pietre divelte e ovunque e senza
eccezione… I segni di un incendio che non aveva risparmiato nulla
divorando il Sogno per poi rigurgitarne il ripugnante cadavere.
Per mesi la ragazzina oscillò tra il sonno e la veglia, passando
dall’insopportabile dolore che il suo corpo le infliggeva al panico più
oscuro in cui quell’incubo la imprigionava: non aveva più alcun luogo
dove nascondersi ed in ogni luogo v’era terrore. Infine lasciò che la
disperazione la prendesse e ancora una volta scelse di fuggire dalla
carne e di sopportare l’angoscia di quell’incubo buio e carbonizzato
poiché almeno lì il suo corpo conservava fattezze sane e il dolore della
carne la abbandonava.
Passarono così gli anni e la bambina divenuta ragazza rimase rinchiusa
nel suo incubo senza potersene, senza volersene liberare… Ogni istante
del suo tempo era speso nel nascondersi dalle creature che popolavano le
distese orribili inseguendola, ogni secondo i suoi occhi guizzavano
nell’oscurità dell’incubo alla ricerca dei mostri che strisciavano
dandole la caccia, ogni momento percepiva il fetore della carne morta e
arsa che permeava quel mondo in cui la sua anima si era persa. Il
desiderio di poter riposare era costantemente frustrato da rumori che
rimbombavano nell’oscurità, mai troppo lontani da essere innocui e mai
abbastanza vicini per essere riconoscibili… L’eterna notte non conosceva
Sonno… Solo un'incessante ricerca di un luogo dove nascondersi da quelle
mostruosità che la bramavano, come fosse, o poiché era, l’ultimo
brandello di carne non putrefatta che potevano divorare. Ogni giorno di
ogni mese di ogni anno non vide che sangue e oscurità, non sfiorò che
ruggine e terra marcia, non sentì che il puzzo dei cadaveri e della
cenere e non udì che lamenti e rantoli dei suoi tormenti, ma sopra ogni
cosa, non assaporò che la paura… La paura di potersi destare da
quell’Incubo… e ritrovare il suo mostruoso corpo scarnificato dal fuoco,
il dolore delle ferite che non si potevano chiudere e il fetore del suo
cadavere che non riusciva a morire.
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